Il pian terreno espone alcune delle opere più rappresentative del museo tra cui, nella prima sala:
La lampada in cristallo di rocca detta Pigna, per la sua forma, databile tra il 969 e il 1250.
L’opera è la più antica della collezione ed è classificata come appartenente al gruppo dei cristalli egiziani di epoca fatimida. È scolpita in un unico blocco di cristallo di rocca, lavorato a grosse baccellature. Non si conosce quale fosse il suo originario utilizzo, presumibilmente un’anfora o un vaso ornamentale, ovvero una lampada per illuminare la Cappella del Sacramento.
Come riferito in diverse cronache storiche, già nel seicento risulta invece utilizzata come contenitore processionale per la reliquia del Sacro Capello della Madonna della Lettera. In seguito al 1943, forse danneggiata durante i bombardamenti, non fu più usata e venne sostituita durante la processione, da una copia in vetro.
Il Braccio reliquiario di San Marciano, primo vescovo e martire di Siracusa è in argento, parzialmente dorato, lavorato a sbalzo ed inciso, in modo da formare rombi e gigli, simbolo della purezza e della verginità dei Santi. Dalla manica, di forma conica, attraverso un delicato merletto, fuoriesce la mano benedicente alla maniera greca. Le tre dita simboleggiano la Trinità mentre le altre due unite rappresentano l’unione della natura umana e divina del Cristo. Un’iscrizione in lettere onciali, riferisce che il reliquiario, contenente un frammento dell’osso del braccio di San Marciano, fu commissionato da Richard Palmer, Vescovo di Siracusa. Il reliquiario fu trasferito a Messina dallo stesso prelato, divenuto Arcivescovo della città nel 1182.
L’opera maggiormente legata alla devozione alla Madonna della Lettera è il reliquiario del Sacro Capello della Madonna, ancora oggi portato in processione il 3 giugno, durante la festa della patrona.
La base, di forma cilindrica, è in argento decorato a bulino; su di essa, un angelo, in argento dorato, sorregge un piccolo cartiglio che reca inciso il saluto della Vergine ai messinesi.
Sul fusto un’iscrizione in caratteri gotici indica la reliquia custodita. Opera dell’argentiere messinese Pietro Juvarra del sec. XVII.
Croce astile, in lamina d’argento, sbalzata su anima in legno. La croce raffigura al centro il Cristo Crocifisso secondo i modelli toscani, a sinistra la Vergine, in alto
l’Arcangelo Michele, a destra San Giovanni Evangelista e in basso il Monte Golgota, detto anche il “Luogo del Cranio”.
Sopra la testa del Cristo un’iscrizione in greco riferisce “Gesù Cristo, re della gloria”. La croce presenta diversi tondi, un tempo utilizzati come castoni per reliquie o gemme, oggi non più esistenti. Sul verso della croce è raffigurata la Vergine orante, secondo l’iconografia bizantina e ai lati i quattro evangelisti; il fondo è decorato da girali vegetali anch’essi di influenza bizantina. L’opera, tra le più antiche della collezione risale al XII-XIII secolo.
Il calice in argento dorato, è decorato con 36 smalti traslucidi. L’opera, come riferito da un’iscrizione che si trova nel nodo, fu realizzata a Napoli, da Giovanni di Ser Iacopo da Firenze, orafo di corte della regina Giovanna I d’Angiò, probabilmente intorno al 1348, su commissione di Soru Stefania Rufula, suora appartenente all’ordine di S. Chiara. Ampi sono i riferimenti alla spiritualità francescana che troviamo nelle raffigurazioni a smalto del nodo tra cui San Francesco d’Assisi e Santa Chiara. Sulla base inoltre, entro smalti quadrilobati, sono raffigurati la Vergine dolente, il Cristo Crocifisso, San Giovanni evangelista, San Pietro Apostolo, San Paolo e San Giovanni Battista. A diverse altezze del calice sono raffigurati uccelli acquatici simbolici, tra cui il pellicano, simbolo del Cristo.
Il calice a coppa larga in argento dorato, fu donato dall’Arcivescovo Filippo Crispo, vescovo di Messina dal 1392 al 1402. Il calice, dalla base ottagonale, presenta una decorazione con smalti di colore rosso e blu, decorati con rami fogliacei e figure in rilievo di Santi diversi e del Cristo Crocifisso. Nel fusto sono incisi i chiodi, simbolo della Passione di Cristo e lo stemma del prelato.
Ostensorio in oro, dalla complessa struttura architettonica. La base ottagonale, raffigura in cinque tondi dipinti a smalto episodi dell’antico e nuovo Testamento, quali, l’Ultima cena, la cena in Emmaus, Davide che trasporta l’Arca Santa a Gerusalemme, Elia e l’Angelo, il Sacrificio d’Isacco, la raccolta della manna. L’unica scena della base non realizzata a smalto, raffigura Melchisedeck che offre pane e vino ad Abramo.
Dagli angoli della base si elevano quattro bracci a candelabro su cui quattro angeli, in bronzo dorato, sono rivolti verso la parte centrale in atteggiamento di preghiera.
Il fusto dell’ostensorio è particolarmente articolato: su delle zampe leonine s’innalza un elemento centrale decorato da teste d’angelo smaltate, sopra le quali un nodo ovale presenta quattro smalti raffiguranti altre scene bibliche: Giuseppe e i suoi fratelli in Egitto, Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, Mosè che innalza il serpente nel deserto e Sansone che beve dalla mascella d’asino dopo l’uccisione dei Filistei. Sopra il nodo un anello raffigura il Sacro cuore di Gesù a cameo, con cornice di brillanti. La raggiera fiammata è decorata con smalti di colore rosso e da una cornice di diamanti a tavoletta. L’opera fu probabilmente realizzata da Giuseppe Bruno orafo messinese specialista per le lavorazioni a smalto, nel sec. XVII.
Il Crocifisso in legno e gesso, proveniente dalla cappella privata della famiglia D’Alcontres, ove fu portato dopo il ritrovamento in una chiesa distrutta in seguito al terremoto del 1908.
L’opera raffigura il Cristo con le braccia distese, il corpo esile, la testa lievemente inclinata a destra, la fronte corrugata dall’espressione di dolore, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, quasi esalante l’ultimo respiro.
Si caratterizza per la presenza del doppio legno della croce; quello superiore, ramificato, simboleggia l’albero della vita. Il crocifisso, attribuito alla bottega messinese dei Pilli, è databile tra la fine del 15° e gli inizi del 16° secolo.
Le tre statue in lamina d’argento sbalzata e cesellata raffigurano i Re magi.
Realizzate nel 1640, sono molto accurate nell’espressione del volto e nella lavorazione delle vesti, quasi miniaturistica. Venivano portate solennemente in processione per le vie della città il giorno dell’Epifania, dall’Ordine Militare della Stella. Come riferito dalle cronache del tempo, il corteo era formato da cento cavalieri della prima nobiltà della città, vestiti tutti di gala con stella d’oro in petto, e con torce accese in mano. I senatori togati, portavano, sotto ricco baldacchino, sopra un’arca d’argento nobilmente e riccamente ornata, le tre statuette dei tre santi re magi e sopra di essi la stella con il vaso di cristallo dentro del quale venivano posti i capelli della Madonna.